Lettera Pastorale per la Santa Pasqua

+ SALVATORE MICALEF

PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA

VESCOVO ORDINARIO

 

Prot. n. 153/2019 v-o

LETTERA PASTORALE PER LA SANTA PASQUA 2019

 Carissimi sacerdoti, e fratelli e sorelle carissimi,

la grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Gesù è stato sepolto dentro la tomba appartenente a Giuseppe d’Arimatea perché, era vicino al luogo della crocifissione. Il Suo Santo Corpo torturato e piagato durante quelle terribili ore di Passione giace nel suo sonno mortale. Ma succede un caso veramente sconvolgente nel cuore e nella mente dei giudei, degno di un’indagine accurata, il mistero della salma trafugata, che avrebbe certamente meritato che si fosse aperto un fascicolo dalla procura di Roma, ma che non venne aperto, perché non ci fosse fondamento giudiziario; ma è comprensibile: il potere giudiziario, il potere legislativo e il potere esecutivo di quell’epoca si saldavano in mani che non avevano nessun interesse ad aprire nessuna indagine. Non fu aperto nessun fascicolo, non vi furono indagati, guai ad aprirlo – e così si fece dire alle guardie che custodivano il sepolcro per una buona somma di denaro che: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. C’era il governatore, Ponzio Pilato, ma la cosa non venne detta a lui, che poteva rilevare e far risaltare l’anomalia di guardie che vedono mentre stanno dormendo, ma direttamente alla gente, come una cosa confidenziale. E bisogna dire che il Sinedrio vide bene che qualcosa di grandioso era successo alla tomba, ma non volle trarne la conseguenza che quella di una menzogna, e gravissima, perché sarebbe stato suo dovere cercare i violatori della tomba e recuperare il cadavere del Signore. Trovare i discepoli non sarebbe stata una cosa difficile, visto che a Gerusalemme ben pochi non avrebbero contribuito alla loro ricerca. I discepoli poi interrogati avrebbero detto: “Noi non abbiamo trafugato nessuna salma, al sepolcro ci sono andate le donne, noi non ne sappiamo nulla”. Cosa fare? Avrebbero dovuto cercare e interrogare le donne. Si sarebbe aperto un caso pubblico, e bisognava guardarsene. Così ventilò una diceria, e questo bastò al Sinedrio al momento per calmare le acque. È terribile la cecità della menzogna! Credettero veramente che fosse successo qualcosa di straordinario e pretesero di coprirlo. Ma quando mai si possono coprire le opere di Dio! Il Sinedrio dovette ancora ricorrere alla menzogna contro sé stesso passando sopra ad un miracolo “evidente” di uno storpio guarito (At 4,15), ordinando a Pietro e Giovanni di “non parlare in alcun modo ne di insegnare nel nome di Gesù” (At 4,18). Di nuovo il perfido Sinedrio, con più determinazione, arrestò gli apostoli, ma inutilmente perché gli arrestati, il giorno dopo, erano ancora nel tempio ad annunciare la Risurrezione di Gesù. Furono ripresi, ma ancora il Sinedrio si trovò in difficoltà di fronte alle parole di un saggio come Gamaliele (At 5,34), il cui consiglio dovette essere recepito dal Sinedrio in questo modo: “Se è vero quello che dicono dovranno continuare a dirlo, e per vedere se continueranno a dirlo intanto li flagelliamo”. La prova della risurrezione venne dunque affidata alla loro costanza di testimonianza. La quale non mancò. E testimoniarono il Maestro con forza serena, “lieti di essere giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41). Erano uomini nuovi. Non maledicevano, pregavano, erano caritatevoli, non si vendicavano, erano leali, pagavano le tasse, promuovevano il bene. La loro testimonianza non si fermò, e di testimonianza in testimonianza l’annuncio di Cristo, morto e risorto, è giunto a noi, e anche noi testimoniamo che Cristo è realmente risorto, altrimenti la nostra fede sarebbe vana e senza fondamento. Quando, sempre nel mattino dopo il sabato, poco tempo dopo la visita al sepolcro delle donne, Giovanni entrò nella tomba nulla era stato toccato nel sepolcro. Le donne che vi andarono non vi erano entrate fulminate dalla presenza di un Angelo del Signore, che le indirizzò a dare l’annuncio ai discepoli. Giovanni entrò dopo Pietro, al quale aveva riconosciuto il diritto di precedenza, “vide e credette”. Le bende a terra, il sudario ripiegato a parte, dunque nessun segno di trafugamento: i ladri avrebbero preso il cadavere con tutte le bende, così com’era, non di certo avrebbero perso tempo, e senza alcuna ragione, a togliergliele e a ripiegare il sudario da parte. Ma poi quale sarebbe stato il vero movente dei ladri? Quale guadagno avrebbe suggerito a dei ladri a sfidare la presenza delle guardie poste dal tempio? Quali denari potevano dare dei poveri pescatori? Pietro vide, ma non decifrò, al momento, quei segni. Pietro aveva ancora in sè la tempesta del rinnegamento. Diversamente altri che agli inizi del secolo scorso videro, dalla vera testimonianza dei Vangeli e della Chiesa, e pur sapendo negarono, inventando che fu un terremoto ad inghiottire la salma in una voragine. Ma scherziamo! La voragine non avrebbe dovuto portare via tutto, anche le guardie, poiché la voragine doveva essere enorme per inabissare una tomba che, si noti, era scavata nella viva roccia (Mt 27,60). La negazione porta al delirio mentale. Chi nega non vede più neppure quello che ha visto. Giovanni “Vide e credette”, e anche noi vediamo attraverso il Vangelo e la testimonianza della Chiesa, e crediamo, e annunciamo che Cristo è Risorto; che è veramente Risorto. La risurrezione ci dice che noi non seguiamo un perdente, ma un vincente. Noi, qui riuniti in assemblea eucaristica, “Annunciamo la morte del Signore e proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”. Non solo facciamo questo con la parola, e questo siamo pronti a farlo anche se venissimo intimiditi a non farlo più, così come si fa anche oggi in tante parti del mondo, ma lo facciamo soprattutto con la nostra vita di battezzati, di morti con Cristo e rinati in Cristo nel dono dello Spirito Santo. Un’assemblea di fratelli che si amano, che pregano nell’unità della carità, che si perdonano vicendevolmente, avendo il coraggio di dirsi l’un l’altro di essere peccatori, veramente annuncia la morte e la risurrezione di Cristo nell’attesa della sua venuta, del suo trionfo finale sul peccato e sul demonio, che sarà anche il nostro. Uomini nuovi e donne nuove che soffrono senza maledire, che perdonano, che osservano lealmente le leggi dello Stato quando queste non sono contro la coscienza, la verità. Uomini e donne che non si lasciano prendere dalla tristezza, cristiani positivi, pieni di speranza, cristiani che sono, proprio perché si definiscono cristiani, luce del mondo e sale della terra.

Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie, una Santa Pasqua di Risurrezione del Signore, ricca di tante grazie e celesti favori.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

Dato a Roma nella Sede Episcopale il 21 Aprile 2019

Domenica di Risurrezione del Signore.

Cordialmente in Cristo

+Salvatore Micalef

Vescovo Ordinario

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